Carlo Cracco: con il Coronavirus ci vorranno due anni per ripartire

Carlo Cracco e il suo rapporto con il Coronavirus. Ci vorranno due anni per ripartire, per il momento bisogna dimenticarsi dei turisti.

Carlo Cracco si lancia ad un duro sfogo durante un’intervista alla Repubblica e dice che, purtroppo, dopo l’evento del Coronavirus, niente sarà più come prima, ci vorranno almeno due anni per riprendersi.

Carlo Cracco e il Coronavirus: ci vorranno due anni per ripartire

Il fenomeno Coronavirus ha colpito tutti e tutto, in Italia e nel mondo, e tutte le attività. Carlo Cracco, uno chef stellato, è rimasto davvero molto spiazzato da questa emergenza: ricordiamo lo sfogo dell’altro giorno di Joe Bastianich che, a causa del virus, ha dovuto licenziare ben 1500 suoi dipendenti sparsi in tutto il mondo.

Carlo Cracco dice che lui sta pensando a come ripartire, ma prevede dei tempi molto lunghi e rilascia una lunga intervista a Repubblica. In particolare dice:

  • “Ci vorranno almeno due anni per tornare alla normalità, ma ripartiremo con tutte le grandissime difficoltà. In tanti dopo due mesi di stop assoluto e soprattutto dopo altri mesi futuri di poco lavoro, dovranno chiudere. Si salverà chi nei piccoli borghi, ha avuto minori problemi sanitari e ha minor costi di gestione, e chi ha attività familiari. Ma prima di ogni considerazione voglio parlare di un problema vero, la sicurezza, nostra e dei clienti. Voi pensate che si risolva tutto così? Bisogna prima di tutto fare i tamponi ai dipendenti dei ristoranti. Perché io devo assicurare a chi viene da me la massima sicurezza sanitaria così come gliela assicuro sul cibo. Stiamo parlando di trasparenza, di salute. C’è gente che ha perso i propri cari, chi sta soffrendo per amici in difficoltà e la risposta per ripartire è la distanza”.

Carlo Cracco continua ancora l’intervista, esprimendo il suo pensiero e dice:

  • “In questo periodo non ci si deve fermare, in questo momento l’esperienza bisogna trasformarsi in forza, la pausa obbligata in pensiero costruttivo, inventandosi delle cose. Io e i ragazzi abbiamo pensato: che cosa possiamo fare come tributo alla Lombardia, la terra più colpita dal virus? E ci siamo inventati il Pan Mugnaga, pane dolce all’albicocca rivisitato, e subito sono arrivate delle richieste. Ho scoperto il mondo digitale come strumento per far conoscere il nostro cibo ovunque, senza la presenza fisica. Sarà una delle sfide future, il negozio online, noi delle grandi città dovremo fare i conti per un po’ con la sparizione del turismo che tanto ci aveva dato. Se la gente non può venire da noi dobbiamo essere noi ad arrivare da loro. Penso ad un delivery nazionale e internazionale.
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